I codici bidimensionali si configurano essenzialmente come un’evoluzione dei classici codici a barre (monodimensionali) ma a differenza di questi ultimi consentono una maggiore capacità di memorizzazione di dati grazie appunto al ricorso alla bidimensionalità. Ne esistono decine ti tipologie che sfruttano diversi espedienti tecnico/grafici per consentire l’immagazinamento di informazioni, ognuno inizialmente preposto ad una singola funzione e poi spesso esportato in diversi ambiti.
I più comuni sono probabilmente i Quick Response Codes: molti si sono chiesti cosa fossero quelle macchie pixelate in bianco e nero trovate in manifesti, siti, pubblicazioni, esposizioni e soprattutto quale fosse il loro utilizzo.
Ebbene si tratta di un sistema di codifica che, letto ed elaborato da cellulari, smartphone e altri dispositivi, consente di immagazzinare fino a 4296 caratteri alfanumerici o 7089 caratteri numerici. E’ quindi possibile inserire al suo interno tutta una serie di contenuti e indirizzare a pagine web e indirizzi utili.
Spesso vengono confusi con i Data Matrix, elaborati dalla Semacode, un sistema abbastanza affine ma più settoriale (industria, poste e comunicazioni).
Pur essendo il suo utilizzo quindi abbastanza recente questo sistema è stato brevettato in Giappone nel 1994 dalla Denso Wave come soluzione alla ricerca di una procedura di tracciatura del materiale all’interno delle aziende (Toyota).
In seguito all’introduzione delle etichette RFID per lo stesso scopo, per i QR codes dal 1999 è stata rilasciata la licenza libera e di conseguenza si è iniziato a sviluppare dispositivi e applicazioni in grado di sfruttarli. Per tutti gli anni 2000 il loro uso in Giappone è stato molto comune nel campo della pubblicità e più in generale nello scambio di informazioni.
Creare il proprio QR è piuttosto semplice, esistono siti in grado di codificare in pochi secondi le informazioni che desideriamo inserire, con la possibilità di scegliere una serie di opzioni. E tra gli applicativi che fanno da contorno al fenomeno esistono già sistemi di personalizzazione per editare il proprio codice.
A favorire l’espansione di questa tecnologia è il poter essere utilizzata indistintamente su tutti i principali browser mobile.
Nonostante la loro crescente diffusione sono già disponibili sul mercato soluzioni più evolute: Microsoft sta investendo grandi risorse nel settore con le sue Microsoft Tags (già più di 5 miliardi quelle scaricate) che, oltre a consentire un’ancora maggiore capacità di immaganizzamento dati, presentano un aspetto più gradevole.
E’ definito come un HCCB (High Capacity Color Barcodes) e proprio tramite l’uso dei colori esso riesce a immagazzinare la stessa quantità di dati usando solo un quarto dello spazio necessario ai “concorrenti”. Volendo adattare il pittogramma all’inserimento in un particolare contesto grafico ( per esempio non stonare con una particolare immagine coordinata ) il codice funziona anche a livello monocromatico. Non può essere adattato solamente alla stampa bianco/nero, cosa che ne inibisce per il momento l’uso su quotidiani e stampe monocolore.
Altro sistema di codifica bidimensionale è il BeeTagg, sistema che sfrutta l’alternanza si cellette esagonali ( da cui il riferimento a “Bee”) bianche e nere corrispondenti come negli altri casi a bit 0 e 1.
La peculiarità di questo sistema, che lo rende peraltro più interessante di altri in ambito commerciale, è la possibilità di inserire nello spazio lasciato libero dalle 2 serie di celle ( collocate rispettivamente nella parte superiore ed inferiore della figura) un logo o un’immagine di riferimento del brand, prodotto, servizio cui il codice rimanda. Questo consente una riconoscibilità immediata e non criptica come nel caso degli altri codici. Esistono ben 7 diversi tipi di BeeTagg a seconda delle esigenze e del numero di informazioni da inserire.
Shotcode è un sistema elaborato dall’Università di Cambridge una decina di anni fa e si articola come una serie di cerchi concentrici i cui settori possono essere campiti in nero o lasciati vuoti. Non è un sistema libero e richiede il passaggio obbligato da un server dedicato.
Tra i più curati a livello estetico troviamo sicuramente Blotcode, della lituana 2D Sense. Presenta un design piacevole, con i settori legati da giunzioni arrotondate e una struttura simile all’iconografia degli organismi naturali. Può contenere fino a 4 byte di dati ed è sicuramente tra i progetti più avanzati ed accurati del settore.
Le possibilità di declinazione di queste tecnologie sono quindi potenzialmente infinite, dall’integrazione con i supporti preesistenti alla loro – in certi casi – completa sostituzione. Etichette, Biglietti da visita, comunicazioni istituzionali, trasporti, pubblicità, intrattenimento, educazione. Come in molti altri esempi contemporanei di espedienti tecnologici free l’unico limite è proprio la creatività di utenti e consumatori.
Vi rimandiamo ad un prossimo articolo dove potrete trovare una casistica di alcuni esempi e consigli sul suo utilizzo nel marketing, intanto ecco un breve prospetto sull’argomento.
Matilde
Iniziativa italiana da tenere d’occhio: http://www.qrplaces.it